domenica 16 settembre 2018

Le paranoie a colori | Intervista ai Noir and The Dirty Crayons

"...Potente ma allo stesso tempo ballabile e diretto, il disco d'esordio della band bergamasca è uno spaccato di quotidianità, volutamente esasperato da testi ironici e taglienti in cui sonorità tipicamente rock si intrecciano a partiture pop ed influenze elettroniche."


Lunga ed articolata intervista ai Noir and The Dirty Crayons.  

Paratecnicolor: Nome enigmatico per un album che svaria facendo surf tra colori musicali ed altri. Raccontateci cosa ti è frullato in testa in fase creativa

Paratechnicolor è un disco nato in circa un anno e mezzo di lavoro, racchiude, in sostanza la descrizione di un periodo della mia vita particolarmente complesso.Questa complessità si riflette, naturalmente, in ogni aspetto di questo disco, dal sound, alle grafiche.


Come hai sottolineato, quest’album fa surf tra varie sfaccettature e colori, a partire dal titolo stesso, che nasce da una domanda, “le paranoie, te le fai a colori o in bianco e nero?” Le mie sono a colori. Tutto nasce da questa frase, il “core” creativo dell’intero album è racchiuso li dentro.

Paratechnicolor puo’ essere visto, ed ascoltato, come un viaggio dentro uno spaccato di vita quotidiana di una generazione che è stata tradita, da tutto e da tutti.

Faccio parte di quella generazione che, forse, più delle altre, è sopravvissuta a se stessa, ai propri eccessi, ai propri problemi. A mio avviso, questo si sente all’interno di ogni singolo brano di questo lavoro,

Nostro personalissimo parere - in questo c'è un sound rock elettro che troppo presto si è perso nei primi anni 90 e che poteva essere un bel marchio di fabbrica per una rinascita di originalità tutta nostrana. È un caso che hai composto I brani con questo sound oppure possiamo stare tranquilli e sperare che si ritorni a respirare quest'aria deliziosa anche nei prossimi vostri lavori?

Nulla è casuale in questo lavoro. Tutto è stato studiato, intervenendo in modo quasi ossessivo sui dettagli.

Ho passato mesi a studiare,
ricercare i suoni, cercando di creare un disco fresco, moderno, ma al contempo che avesse richiami forti alla musica del passato (e gli anni ‘90 qui la fanno da padrone).

Ho cercato un sound che potesse collegare la modernità dell’elettronica con il “vintage” del grunge, del punk e del pop. Le influenze sono molte e disparate.

Nei prossimi lavori, la parte elettronica avrà ancora più spazio, e quel che è certo è che il prossimo disco non sarà “Paratechnicolor 2.0”, bensì un passo in avanti verso nuove sonorità ed influenze.

Cosa c’è in cantiere nell'immediato e nel futuro?


Il prossimo anno vedrà la luce un nuovo Ep, composto da 5 brani che usciranno come singoli nel corso di tutto il 2019.

Inoltre, è mia intenzione coinvolgere in modo attivo i miei fan, che colgo l’occasione per ringraziare dato il loro costante affetto, mediante “operazioni social” che non svelo in questa sede, per non spoilerare nulla.

Sappiate che stanno bollendo moltissime cose in pentola che si concretizzeranno tra la fine del 2018 ed il corso del 2019

Cosa è venuto a mancare alla musica italiana negli ultimi anni? Insomma per dirla tutta - é il "sottobosco" che ha smesso di essere fertile o semplicemente é il mainstream che ha tagliato fuori "le cose ricercate"?

Dunque, qui il discorso è lungo e complesso. A mio avviso la situazione musicale italiana è quella che è per una serie di fattori. Partendo dal mainstream, beh c’è poco da dire. La scena mainstream non ha mai lasciato spazio a nulla che non fosse una sua creatura, ed in fondo, essendo un mercato, commercializza dei prodotti, in questo caso musicali. Ma sempre di prodotto si parla. Esattamente come in qualsiasi altro mercato esistente.

Ad un certo punto, a questa realtà, si contrappose il fenomeno “indie”. E qui la situazione si fa ancora più mesta. Il mercato indie si muove esattamente come quello mainstream, con l’aggravante di sentirsi superiore a tutto e tutti. Di facciata le presunte etichette indie si propongono come la parte alternativa della musica, ma di alternativo non hanno nulla. Ho ricevuto, negli ultimi tempi, svariate richieste da parte di etichette, più o meno grosse, del panorama indie, ma tutte con una costante, la loro più totale inutilità.

Viviamo in tempi, almeno sotto questo punto di vista, per fortuna, nei quali gli artisti non hanno più bisogno di un’etichetta per andare avanti. Possiamo fare da soli, dalla scelta del nostro pubblico, alla promozione degli album etc.. etc.. 

In questo contesto, un’etichetta che arriva con proposte tipo “Sei figo, ti faccio un contratto in cui tutte le spese sono a carico tuo, la promozione te la fai, le stampe dei dischi te le possiamo fare noi sotto pagamento di un tot di euro, ed in più ci concedi il 50% dei diritti editoriali per i prossimi due anni su questo lavoro”

Devo anche calarmi le braghe e porgere la mazza da baseball? A fronte di ciò, un’etichetta mi serve? No.

Per rispondere alla domanda, il mainstream non ha tagliato fuori nessuno, semmai è l’indie ad averlo fatto. Questo tipo di modello di business ormai non serve più agli artisti, e prima se ne renderanno conto, prima le cose cambiaranno, tagliando fuori tutte queste logiche malsane.

Per concludere, l’indie, prende per il culo le persone, propinando la stessa esatta merda che viene proposta sulla scena mainstream. La differenza la fa la produzione; i dischi mainstream sono prodotti come si deve e non hanno pretese di rivoluzione. Sotto quest’otttica il mainstream è molto più “vero”, ti dice in faccia che ti sta propinando merda, non te la spaccia per cio’ che non è, come succede, invece, in campo Indie.

Per questi motivi mi sento di dire, in modo forse provocatorio, che Noir ha superato il concetto di indie e mainstream, proponendosi come Post-Indie.

Questo disco è sia immediato che ricercato, nel senso che più lo si ascolta più si scoprono delle finezze che fanno bene alle orecchie di chi ascolta la musica attentamente. Intanto I nostri complimenti e poi la domanda: Quale è stato il tuo percorso musicale? Da dove arrivi?

Intanto, grazie, i complimenti sono sempre bene accetti. Nel mio percorso artistico ho incontrato molti generi disparati tra loro, la musica classica, dentro la quale ci sono praticamente nato, avendo un fratello direttore d’orchestra, l’heavy metal, nelle sue molteplici sfaccettaure, il pop, l’elettronica, il grunge.

A questo ci si aggiunge una mia innata curiosità verso tutto quello che è musica, sono in costante ricerca di nuovi artisti, di nuovi suoni da poter assimilare. Ultimamente sto facendo un viaggio nella musica tradizionale giapponese, con complessi orchestrali come l’Ikuta School.

Il mio viaggio nella musica sarà ancora molto lungo, non so dove mi porterà, ma sarà sicuramente fonte di ispirazione ed arricchimento.

Sotto un aspetto pratico ho avuto la possibilità, nel corso della mia carriera artistica, di condividere il palco con svariati nomi del panorama musicale italiano e non, quali Poisonblack, Solieri, Radius, Scarpato etc etc, di lavorare sulla mia musica agli Abbey Road Studios di Londra. Questo mestiere mi ha portato, fin ad ora, in luoghi e con persone, che hanno contribuito al mio arricchimento, sia umano che professionale.

Cosa fa Noir in un giovedì normale?

Compone, scrive, studia. Passo le mie giornate tra sessioni di produzione, studio e scrittura. Il mestiere del musicista è duro, è un costante mettersi alla prova, mettere alla prova i propri limiti e cercare di superarli. E’, in sostanza, il mestiere più bello del mondo.

Negli ultimi anni mi sono anche messo “dall’altra parte” del banco, vestendo i panni del produttore, e anche questo aspetto è didattico. Ti permette di venire a contatto con molti artisti, di lavorare con loro, di imparare da loro.

Ci è parso di scorgere, ma correggici nel caso, che in ogni traccia la linea della voce sia sempre doppiata da una ricantata pressoché uguale ma che a tratti lievemente si discosta creando un bel gioco dimensionale. Questa tecnica ad esempio è molto figlia del grunge anni '90: Ci raccontate qualche segreto di mixaggio?

Sì, avete sentito bene. E’ quasi un mio marchio di fabbrica, l’uso di armonizzazioni particolari, o il doppiaggio di alcune linee, crea spazio, crea atmosfera. Più che figlia del grunge, io la riconduco al modo di cantare del pop degli anni ‘60, dove le armonie vocali la facevano da padrone.

Figlie del grunge sono sicuramente i suoni di chitarra e basso, molto “grossi” e pompati. Abbiamo utilizzato strumentazioni vintage, da un Vox del ‘67, ad un Orange degli anni ‘70, passando per pedalini, casse etc..etc...tutto d’epoca. Questa scelta è stata dettata dalla volontà di creare un sorta di “contrasto” tra la parte “acustica”, più vintage appunto,e la parte elettronica, più moderna, dei brani.

Anche sotto il punto di vista dell’elettronica la scelta degli strumenti è stata fondamentale, non ho utilizzato esclusivamente software, ma sintetizzatori hardware quali un Dx7, un Juno 06, Minimoog, varie drum machine, due su tutte una Linndrum del ‘79 ed un 808.

Il mixaggio del disco è stato molto minuzioso, grazie alle sapienti mani di Larsen Premoli dei RecLab Studios, che ha saputo dare il giusto equilibrio al tutto.

Raccontateci un vostro live: Come costruite la scaletta? Buttate dentro qualche cover?

Il live è studiato nei minimi dettagli, e la scaletta è costituita sia di brani inediti provenienti da Paratechnicolor, sia da cover. Queste ultime pero’ non vengono riproposte in maniera identica alle originali, ma attraverso un lavoro di rearranging (a volte di riscrittura) dei brani in chiave elettronica, seguendo lo stile di Paratechnicolor, in modo da creare uno spettacolo coeso, con un filo conduttore ben preciso. All’interno della scaletta abbiamo brani di Bowie, Beatles, Cure, Black Sabbath, The Cure, Eurythmics...e molti altri.

Venite a vederci live, non ne rimarrete delusi.

Chi scrive e chi arrangia I pezzi?

I brani di Paratechnicolor sono stati composti ed arrangiati da me. Mi sono avvalso della collaborazione del mio produttore artistico, e caro amico, Valter Sacripanti (Nek, Bertè, Cristicchi, Frankie Hi-Nrg).

Per quanto riguarda le registrazioni dell’album, le batterie sono state suonate dal già citato Valter Sacripanti, le linee di una delle due chitarre dal chitarrista dei The Dirty Crayons, Massimo Ciocca, alcune linee di basso sono state suonate da Nik Mazzucconi (Labyrinth, Ian Peace). Di tutto il resto me ne sono occupato in prima persona.

La formazione live di Noir & The Dirty Crayons comprende, oltre naturalmente a me, Massimo Ciocca alla chitarra, Daniele Milesi alla batteria.

Prossimi appuntamenti coi noir?

Saremo il 28 settembre al Rocker di Barzana (Bergamo) e stiamo attualmente stilando il calendario live per l’autunno inverno. Avremo maggiori dettagli a breve, che naturalmente, pubblicheremo sui nostri social.

Il mio wasabidress è ...

Master of Puppets dei Metallica. Questo disco ha rappresentato per me, una svolta a livello intrinseco nella mia vita. Ha cambiato il mio modo di vedere le cose sin dal suo primo ascolto, racchiudendo in sè, ed esprimendo tutta la rabbia che mi portavo addosso, e che in parte ho ancora.

Ogni volta che ascolto quel disco non posso non volgere lo sguardo ai volumi di H.P Lovecraft che stanno comodamente nella libreria di casa mia.

Nello stesso periodo in cui ascoltai per la prima volta Master of Puppets , mi avvicinai a quel filone di letteratura “proto-horror” rappresentato appunto da Lovecraft, ma anche da Poe ed in parte da Maupassant.

L’unione di queste due cose ha sempre generato, nella mia mente, riflessioni, pensieri di vario tipo, portandomi a riflettere in modo profondo sulla condizione umana.

Il tutto viene unito da un quadro, “L’Urlo” di Munch, che esprime in maniera esatta e pressochè perfetta cio’ che succede nella mia testa.

In fondo, forse, la riflessione, il lavoro su se stessi sono la vera essenza della musica, dell’arte e della letteratura.


Social link band: Facebook / Spotify

Intervista scritta da Roberto Panighi, 
a cura di Federica Marta Puglisi 
con la speciale collaborazione di Frank Lavorino, Blob Agency - Bologna.

Nessun commento:

Posta un commento