martedì 14 ottobre 2014

Il Wasabi Dress di "Everyday Robots" - La reale solitudine nel favoloso progredire della scienza

Nato a Londra il 23 Marzo 1968, Damon Albarn è una delle figure più influenti della scena musicale degli ultimi 20 anni. 
Un cantante, un produttore, un compositore. 

Voce e leader di un gruppo capostipite del britpop inglese, i Blur; in compagnia di menti geniali come Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree scalò le classifiche mondiali, testa a testa con i fratelli Gallagher.

Come se il successo non fosse abbastanza, fondò in compagnia di Jamie Hewlett nel 2000 i Gorillaz, band virtuale che vantò oltre 5 milioni di copie vendute. 

Le collaborazioni di Albarn sono milioni. Dopo i Gorillaz, Mali Music, The Good The Bad & The Queen, Rocket Juice & the Moon innumerevoli altre produzioni. 

E poi, poi una pagina nuova. Il 20 Gennaio 2014 come "anticipazione" del suo nuovo disco solista pubblica su YouTube "Everyday Robots", produzione curata da Richard Russell con la collaborazione di Brian Eno.

È proprio così che a 46 anni sceglie di mettersi a nudo; senza pseudonimi, fictions, animazioni surreali; Damon Albarn si siede su quello sgabello e inchina la testa. Un album totale, una rappresentazione delle sue molteplici esperienze e capacità, un'unione di innovazione ed emozione.

A rendere tangibili le sue parole, una surreale rappresentazione pochi giorni fa al Miraikan (Museo nazionale della nuova scienza e dell'innovazione di Tokyo) dove Albarn si ritrovò a suonare davanti a due donne realmente androidiUn messaggio forte verso questa società emotivamente costretta ad una reale solitudine con il favoloso progredire della scienza.


"Everyday Robots" di Damon Albarn
Scritto da Federica Marta Puglisi, NaiFer


Il Wasabi Dress di "Everyday Robots":



Norwegian wood. Tokyo blues di Haruki Murakami
"‎If you only read the books that everyone else is reading, you can only think what everyone else is thinking."

Tokyo Blues é un prodotto atipico nella prolifica bibliografia di Murakami; non ci sono scenari onirici né realtà parallele a stordire il lettore e a risucchiarlo nel vortice di una lettura compulsiva.

Si tratta di un romanzo più convenzionale, per certi versi mainstream ma senza mai nemmeno sfiorare la banalità. Definirlo un romanzo di formazione é sicuramente riduttivo, ma aiuta a contestualizzarlo.

Siamo nella Tokyo del 1968; Watanabe è innamorato da sempre di Naoko, la ragazza del suo migliore amico morto suicida durante il periodo del liceo. Sono gli anni dell’università, che Watanabe frequenta con fatalismo, galleggiando nella mediocrità salvato solo dalla purezza della sua relazione con la fragile Naoko. I due ragazzi passano intere giornate a passeggiare in una Tokyo sonnolenta, spesso senza nemmeno parlarsi ma scaldandosi l’anima a vicenda grazie alla sola presenza fisica. L’amicizia tra Watanabe e Naoko diventa un legame fortissimo, ma non sufficiente per permettere a Naoko di affrancarsi dalla depressione. La ragazza decide di chiudersi in un isolamento spontaneo per cercare un palliativo al dolore che le procura la vita, ricoverandosi in una clinica lontana da qualsiasi forma di civiltà. Il distaccarsi anche fisicamente dal resto del mondo non la aiuterà a sopportare il peso schiacciante dell’esistenza e la sua estrema fragilità riuscirà alla fine a vincere sulla sua volontà.

Un romanzo sull’amicizia, ma anche sulla morte che é una presenza costante lungo tutto il racconto; Murakami riesce come sempre ad affrontare l’argomento, e a farlo essere quasi protagonista del libro, con una delicatezza e un pudore profondamente orientali.

Un’aura di sconfitta, di annientamento, permea entrambi i personaggi fotografandoli nella loro immobilità coatta, nella loro illusione di avanzare controvento. 

Un libro sulla paura di crescere, sulle aspettative e sui sogni. 
Un Murakami intensissimo e vero.

"Norwegian wood. Tokyo blues" di Haruki Murakami
Scritto da Laura Ferloni, NaiFer



Ricetta - Gnocchi Molecolari

Ingredienti:
30 gr di fecola di patate o amido di riso o amido di mais
Acqua
Sale

Mettete un po' d'acqua in un pentolino, aggiungete gli amidi con un cucchiaio e stemperateli in modo da formare una sospensione piuttosto torbida e densa. A questo punto, mettete il pentolino sul fornello. Noterete che il liquido diventa improvvisamente molto viscoso, fino a trasformarsi in pochi secondi in una massa gelatinosa, che ha catturato tutta l'acqua. Togliete il pentolino dal fuoco, lasciate raffreddare e poi lavorateli come gli gnocchi tradizionali, cioè tagliate il gel di amidi a piccoli tocchetti.



"La tecnologia non tiene lontano l'uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli più approfonditamente."

Antonie de Saint-Exupéry

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