martedì 27 gennaio 2015

SPECIAL - "Una storia di volumi...altissimi"

4 anni e 10 giorni.

E' l'esatta distanza che intercorre tra la pubblicazione di WOW e Endkadenz Vol.1.
E' una distanza importante.

Lo è soprattutto in questi periodi in cui la discografia delle major insegue isterica la ricetta perfetta per non collassare e dunque ecco uscire dischi e singoli come se non ci fosse un domani.
Ma i Verdena hanno i loro tempi, lo sanno i verdeniani e lo sanno soprattutto le persone che ancora sanno apprezzare un disco ascoltando dalla prima all'utima traccia senza skippare.
Si faceva così anni e anni fa coi vinili e guarda caso, 4 anni tra un lavoro e l'altro, ricorda proprio le tempistiche nell'era in cui si producevano i dischi...quelli veri, quelli che impiegavano 33 giri o 45 al minuto per lasciare un qualcosa per sempre.

E così arriva Endkadenz Vol.1.

Ci sarà anche un Vol.2 tra qualche mese perchè i Verdena, al solito, avevano pronta una nuova monumentale opera ma riproporre un doppio album sarebbe stato ripetitivo e loro non lo sono mai (e anche questo lo sanno i verdeniani), dunque eccoli qui con un'idea discografica di nuovo vintage e figlia degli anni '90 come l'uscita doppia degli Use Your Illusion dei Guns n' Roses.

Partiamo dal titolo: Endkadenz.
Ogni album dei Verdena ha sempre avuto un titolo che sinteticamente trasmettesse le vibrazioni della musica contenuta al suo interno: l'omonimo "Verdena" presentava la misticità di un nome storpiato (originariamente erano i Verbena), "Solo un grande sasso" metteva di fronte a qualcosa di grosso, immobile e pesante nella sua semplicità, "Il suicidio dei samurai" rimandava a suoni ruvidi come lame e tragici come il sommo atto dell'Harakiri mentre "Requiem" arrivava con un nome solenne come i suoni e le atmosfere cupe che conteneva.
E poi c'è stato "Wow", il doppio album, in cui l'aggiunta del piano elettrico, le distorsioni meno esagerate e le idee più pop hanno restituito una sorta di ulteriore nuova versione dei Verdena.

Ed ora ecco EndKadenz.

E' un nome che sembra anagrammare la parola "Decadenza" ma che pure sembra avere voglia di guidare i passi in una danza a endecasillabi.
Luca Ferrari spiega che nella scelta di questo nome si è ispirato a una foto che raffigura il finale dell'esibizione musicale-teatrale Konzertstück für Pauken und Orchester del compositore Mauricio Kagel, in cui un uomo si schianta dentro un timpano da orchestra dalla membrana di carta.

E' un'immagine forte, potente, così come lo sono i suoni di questo nuovo lavoro.

Alberto dice che questo "è un disco in rosso" registrato con tutti i potenziometri spinti al limite, ultrasaturati, quindi immaginiamoci la maturazione raggiunta con Requiem e Wow spinta ancora oltre.
La tracklist, dice sempre Alberto, "è stata messa li a caso, dosando quasi in modo paritario le sonorità più dure e quelle più morbide tra il Vol.1 e il Vol.2" ma questo "mettere li a caso" è una cosa a cui io personalmente non credo o meglio, anche se fosse, sono certo che sarà un "a caso" logico, sensato, come lo è sempre stato.

Ultima particolarità: in questo disco è stato utilizzato un pianoforte vero, di quelli "a muro" o più propriamente detti "verticali", dunque la sovrapposizione tra i distorti big-muff sparati al limite e la dolcezza delle note suonate dai martelletti vibrati dall'intensità dinamica delle dita del suonatore saranno sicuramente l'ennesima scelta artistica strabiliante dei fin ora mai ripetitivi Verdena.

Ringrazio tutta la serie di circostanze ed eventi che hanno fatto in modo che le mie orecchie intercettassero i loro suoni nel lontano '97, ho avuto un percorso musicale decisamente migliore grazie alla loro esistenza.

Scritto da Roberto Panighi per NaiFer

martedì 20 gennaio 2015

Scordando le atmosfere ovattate del Nord

Nata a Copenaghen, Agnes Obel, austera e composta in apparenza, si rivela essere un animo fragile e suadente, con un'intensità espressiva sostenuta dalle costruzioni precise delle sue melodie e dai suoi testi essenziali.

Propone in una nuova veste un pop pianistico-cameristico che emerge dalla massa per il suo velo fortemente melodrammatico.

Il suo esordio "Philharmonics" uscito il 4 ottobre 2010, in Danimarca ha ottenuto cinque volte il disco di platino. "Riverside" uno dei maggiori successi di questo album, scalò le classifiche come colonna sonora del film Submarino di Thomas Vinterberg tratto dal libro di Jonas T. Bengtsson.

"Aventine" il suo secondo album è una forte conferma del precedente successo; un album coerente con il primo arricchito da nuovi strumenti, nuovi suoni. Pubblicato su Play It Again Sam, distribuzione Self, e registrato presso i Chalk Wood Studios di Berlino.

Più che l’ennesimo nuovo fenomeno musicale del nord Europa, Agnes Obel possiamo definirla esponente di quella scia di artisti che tenta di fondere la musica classica con le atmosfere dell’elettronica. Un Pop post-moderno, di grande impatto emotivo ed immensa atmosfera.

“Ho registrato tutti gli strumenti posizionati vicinissimi fra loro, e così i microfoni: tutto in una piccola stanza, con le voci qui, il pianoforte qui – tutto molto vicino. Sono riuscita ad ottenere qualcosa che sembra grande con questi pochi strumenti”. Forse è proprio qui il segreto che trasporta la musica cameristica in ambienti trasognanti.

“The Curse” è la dimostrazione tangibile di come le intenzioni siano di ottima fattura, di come questa magica voce femminile riesca a tenere a bada uno spettro inquietante nel recinto armonico delle sua formazione classica. 

Scritto da Federica Marta Puglisi, NaiFer



Il Wasabi Dress di "The Course":


Submarino, Jonas T. Bengtsson

"Non gli ho mai parlato degli istituti. Di mia madre, che ci ha riuniti, ma che é scomparsa. Dei miei fratelli, di quello che ha un nome che non uso quasi mai, e di quello che un nome non l'ha mai avuto".

Duro, tagliente e cattivo. Il realismo quasi documentaristico spiazza chi si aspetta le atmosfere ovattate del nord.

Submarino é la storia della sconfitta e dell'immobilità di due fratelli, uno cocainomane e vedovo con un figlio piccolo e l'altro alcolista appena uscito di prigione.

Quello che lega i due personaggi é il ricordo sfuocato ma doloroso della morte del loro fratellino ancora neonato, accaduta per incuria in una situazione di degrado che ha caratterizzato la loro infanzia e messo le basi per il loro futuro. 

Nørrebro, uno dei quartieri periferici di Copenhagen, é il centro dell'azione; tra immigrati di origini balcaniche, pusher, prostitute ed edifici occupati, Nick e suo fratello si trovano e si perdono continuamente come se il loro legame fosse un vincolo e una zavorra in un mondo ostile che premia solo chi riesce con la violenza a sottomettere gli altri. 

I due sopravvivono, assuefatti alla loro condizione di precarietà senza avere mai la forza di cambiare prospettiva e di varcare il muro che separa la Danimarca da cartolina dall'inferno in cui sono cresciuti.

Jonas T. Bengtsson risparmia ogni giudizio morale; mette in sequenza fatti, persone, luoghi, senza identificare mai il responsabile della disfatta dei personaggi. 

La società? Il momento storico? 
La madre alcolizzata? 
Forse semplicemente il nichilismo dei due fratelli. 

Il ritratto freddo e spietato di una Copenaghen fatta di una disperazione che potrebbe essere quella di qualsiasi periferia, con Tivoli e la Sirenetta appena dietro l'angolo.

Scritto da Laura Ferloni, NaiFer



“Gammeldags æblekage”
Torta di mele danese all’antica: pronta in 8 minuti e senza forno.



Ingredienti (suddivisi per strati): 



- 2/3 mele grandi (300/400 gr al netto degli scarti)

- 2 cucchiai d’acqua

- 100 gr zucchero bianco o di canna
- 1 limone
- cannella
————
- 80 gr pangrattato
- 50 gr zucchero bianco
- 50 burro
- 80 gr biscotti secchi
————
- 200 ml panna
- 2 cucchiai zucchero
- cannella per guarnire 


Si tratta di un dolce povero, a basso costo e preparato con pochissimi ingredienti. È una torta non torta dato che non richiede l’uso del forno, non ha la forma di una torta ed è in pratica un dolce al cucchiaio.  La ricetta originale prevede di aggiungere come guarnizione dei Macaroon sbriciolati, biscotti molto simili ai nostri amaretti. In mancanza di questi, tuttavia, vanno benissimo anche i biscotti secchi. 

Procedimento: 
Cuocete per circa 10 minuti le mele tagliate a cubetti con il succo di 1 limone, la scorza, 100 gr di zucchero e 2 cucchiai d’acqua . Appena cotte aggiungere un pizzico di cannella, e lasciare raffreddare un attimo. Nel frattempo che le mele cuociono, in un pentolino sciogliere i 50 gr di burro con i 50 gr di zucchero del secondo dosaggio, quando sono sciolti aggiungere il pangrattato, mescolare bene, sempre sul fuoco, per circa 2-3 minuti, finchè il pangrattato non diventa leggermente dorato. Spengere e mettere da parte. Sbriciolare i biscotti con le mani, oppure pestarli con un batticarne, ma lasciarli grossolani. Montare la panna con i 2 cucchiai di zucchero a consistenza semimontata. 

Impiattamento: 
In una tazza mettere le mele, poi il crumble croccante di pangrattato, poi i biscotti sbriciolati, infine la panna semimontata e spolverizzare di cannella con le dita (come per mettere il sale) sopra per guarnire.

Scritto da Laura Baschirotto, NaiFer






"Non è mica la morte che importa, 
è la tristezza, è la malinconia. 
Lo stupore. 
Le poche buone persone che piangono nella notte. 
La poca buona gente."

Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia, 1972










martedì 6 gennaio 2015

Il Wasabi Dress di H-E-I-M-A


Heima, il film. Premiato al Reykjavík International Film Festival il 27 settembre 2007; è stato rilasciato il 5 novembre 2007 (il 4 dicembre in Nord America) in due edizioni.  
Dopo un lunghissimo tour internazionale, i Sigur Rós, accompagnati dal quartetto di archi femminili Amiina, organizzano una serie di concerti gratuiti localizzandoli in punti strategici e significativi della loro terra. 

Due grandi session all'aperto a Miklatún e a Ásbyrgi ed altri piccoli live a Ólafsvík, Ísafjörður, Djúpavík, Háls, Öxnadalur e Seyðisfjörðu. Il più significativo fu il concerto di protesta a Snæfellsskála, contro la costruzione di una diga a scopo industriale, suonato tutto e volutamente unplugged per dimostrare "l'alternativa", quel rispetto che la nostra terra merita esattamente quanto noi stessi.

Il documentario, inoltre, comprende un concerto acustico, suonato per la famiglia e gli amici, al Gamla Borg, un piccolo café, nella piccola cittadina di Borg.

Un DVD difficile da descrivere, in cui il contenuto ha un valore profondo ed inestimabile. Una terra meravigliosa mossa dal vento, letteralmente folgorante con un valore sentimentale sincero e commovente dove i Sigur Rós si muovono tra spazi sconfinati lontano dalla definizione di luogo moderno. 

Aquiloni alti nel cielo, bambini che sorridono, anziani che camminano con i loro bastoni su sentieri deserti insieme a giovani donne, pescatori, ragazzi. 
Suonando spesso senza neanche un palco, accordando strumenti tra la gente, parlando con le loro persone, in mezzo agli spazi dove sono cresciuti.

Tutto il senso delle loro sonorità non potrebbe trovare migliore dimora se non "a casa". Un'esperienza da far fare ai nostri occhi saturi di tecnologie e velocità. 

Concedetevelo; davvero.

Il trailer


Scritto da Federica Marta Puglisi, NaiFer




Islanda d'inverno, un'alba infinita.

Heima, casa. É proprio la sensazione di essere a casa che invade non appena gli scarponi toccano il terreno ghiacciato di Keflavik.

L'aria gelida dell'artico si insinua dolorosamente nei polmoni rievocando il giorno del pianto primordiale. Rinascita.

L'Islanda d'inverno è un mondo a sé; il giorno dura pochissimo, ma la qualità della luce è incredibile. Un'alba che sconfina nel tramonto, avvolgendo la terra in una coperta dai colori del fuoco.

Spostarsi non è semplice, serve un 4x4 con buone gomme invernali e parecchia prudenza; ogni mattina è indispensabile consultare il sito della rete stradale Islandese per verificare che sul percorso programmato non ci siano strade chiuse e che le condizioni generali delle altre siano buone. 

Una volta lasciata Reykjavik e la strada nr. 1, si aprono diverse possibilità. 

Andare a sud verso Vik comporta quasi tre ore di viaggio di cui gli ultimi km su strade secondarie quasi sempre ghiacciate e difficilmente percorribili, ma se si riesce a raggiungere il promontorio di Dyrolahey l’impatto è letteralmente da togliere il fiato. Neve a perdita d’occhio, una lingua di sabbia nera e l’oceano; scogliere e l’orizzonte con il sole bassissimo. 

Anche il classico giro tra Þingvellir, Geysir e Gulfoss ha un fascino irresistibile e i paesaggi vestiti di ghiaccio promettono ricordi indelebili. 

Un’altra alternativa meno conosciuta ma altrettanto emozionante è l’itinerario tra Hafnarfjörður e Þorlákshöfn lungo la 42 che costeggia lo splendido Lago Kleifarvatn tra campi di lava e le solfatare multicolori di Krysuvik.

Rimanere a Reykjavik non permette sicuramente di catturare l’energia dell’Islanda, però si tratta comunque di un’esperienza interessante. Lungo il Laugavegur, la strada dello shopping, si trovano negozi di marchi indipendenti e di giovani designer Islandesi, gallerie, negozi di musica, locali. Sulla collina appena ad est si staglia la modernissima e controversa Hallgrimskirkja dal cui campanile c’è la più bella visuale sui tetti colorati della città.

Reykjavik però si gira in un paio d’ore, poi ci si deve dedicare all’attività sociale più praticata dagli Islandesi, il rito della piscina. Ogni quartiere ha la sua splendida e nuovissima piscina, rigorosamente all’aperto e riscaldata grazie all’energia geotermica, dove tutti, ma proprio tutti, chiacchierano, discutono nuovi progetti di business, intrecciano relazioni passando da una vasca di acqua bollente all’altra.

Passare le feste di fine anno in Islanda è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita; la sera del 31 Dicembre gli Islandesi si riuniscono attorno a degli enormi falò con una birra in mano aspettando l’anno nuovo mentre migliaia di fuochi d’artificio illuminano il cielo di Reykjavik. Il rito del primo dell’anno invece prevede un bagno, rigorosamente vestiti da sera, nel mare artico sulla spiaggia di Ylströnd per poi tuffarsi nella hot pot con vista sulla baia.

Il freddo pungente, il vento, la pioggia, il buio. L’inverno Islandese è anche questo, ma quando il sole dietro le nuvole sfilacciate avvolge la natura grezza, appuntita, tagliente con la sua carezza rosa tutto diventa relativo e quella terra forte, estrema, ti strappa la promessa di tornare. Presto. Perché l’Islanda è questo, heima.



Il circo dell’Arte e del Dolore – Guðrun Minervudottir

“Si mise seduta sul letto e sentì la rabbia montarle dentro, o forse non era rabbia ma solo paura. A volte era difficile distinguere le due cose. Spesso le veniva il batticuore per l’insicurezza quando dormiva fino a tardi; come se si fosse persa qualcosa di importante, se si fosse dormita la vita e fosse troppo tardi per tutto.”

Yosoy è un circo permanente alla periferia di Reykjavik dove vengono messi in scena due volte al mese dei numeri grotteschi e surreali il cui fine è di spingere al limite le possibilità del corpo umano. Al limite del dolore sopportabile, al limite del possibile. 

Madame partecipa ad una competizione che fa muovere l’ignaro Olafur come una pedina all’interno di Yosoy perché il suo scopo è quello di vincere la gara. Chi vince riceve un premio che cambia radicalmente la vita, ma i partecipanti giocano alla cieca, nessuno sa fino al momento della premiazione quale sia l’ambito premio.

Strani personaggi intrecciano le loro vite in questo romanzo, narratori diversi srotolano le loro storie senza mai arrivare alla certezza. Un libro profondo e scioccante, una riflessione lucida e cinica sul significato del dolore fisico e morale.

Un romanzo in cui la riflessione filosofica è preponderante sull’azione, dove la staticità fa da specchio ai lunghi inverni Islandesi e l’atmosfera intorpidita e onirica rimanda al chiarore ovattato delle corte giornate artiche.


Scritto da Laura Ferloni, NaiFer






"Nú er ég loks kominn heim"

- Adesso sono finalmente a casa -