In questo periodo surreale che stiamo vivendo é difficile parlare di canzoni, film, serie tv, libri... E’ davvero complesso liberare la mente e farla fluttuare in piena libertà. Siamo un po’ incastrati come un sorriso dietro la mascherina. Per questo noi di wasabidress abbiamo voluto raccontarvi una storia vera. La storia di Agnese.
Un’incredibile fotografa di 38 anni che lo scorso 4 marzo si é ammalata di Coronavirus.
Vogliamo rendere omaggio al suo buio e alla sua luce, vogliamo dedicarle del tempo. Vogliamo ascoltarla mentre racconta quel dolore terribile che ha dovuto sopportare. Vogliamo dare a voce a lei a nome di tutte quelle persone che hanno dovuto vivere questo incubo.
Scoprirete quanto la vita ama farsi spazio tra le insidie. Già, a volte, è proprio toccando l’abisso più cupo che è possibile rinascere. E Agnese é sulla buona strada.
Ciao. Mi chiamo Agnese, in arte Starlet_eyes, ho 38 anni e sono della provincia di Milano.
Ho iniziato a fotografare molti anni fa, in maniera molto istintiva; la macchina fotografica è sempre stata la mia penna, il mio mezzo di trasporto, la mia frase mancata. Dentro ogni foto c'è tutto, e non c'è bisogno di spiegarlo.
Ho iniziato a fotografare molti anni fa, in maniera molto istintiva; la macchina fotografica è sempre stata la mia penna, il mio mezzo di trasporto, la mia frase mancata. Dentro ogni foto c'è tutto, e non c'è bisogno di spiegarlo.
Fino a marzo, nei miei scatti ho sempre ricercato il movimento verso qualcosa, dei punti di vista inediti e delle espressioni spontanee. Tutte le foto hanno una mia impronta ben visibile ma le stesse sono anche sempre state il mio diario segreto. Ho raccontato il mio movimento, il mio moto verso il non so cosa, gli arrivi e le ripartenze, i miei sorrisi riflessi. In pratica nelle mie foto c'e il disordine dell'effetto combinato delle mie stagioni, che hanno sempre ruotato attorno alla mia natura, senza mai però abbracciarla.
Quando il Coronavirus é brutalmente entrato nella tua vita?
Mi sono ammalata di Covid il 4 Marzo. Posso senz'altro dirti che questo è stato l'evento più traumatico della mia vita. Ho vissuto per giorni, settimane, una tragedia personale e famigliare. E piccola premessa... sono sempre stata in ottima salute.
Non ho parlato quasi con nessuno di quello che ho passato fino ad ora, sono rimasta più di tre mesi senza dire una parola a riguardo, ma credo sia giunto il momento di raccontare. Perché raccontare é importante.
Non ho parlato quasi con nessuno di quello che ho passato fino ad ora, sono rimasta più di tre mesi senza dire una parola a riguardo, ma credo sia giunto il momento di raccontare. Perché raccontare é importante.
Quali sono stati i primi sintomi? E cos’é successo dopo?
Come hai vissuto quei giorni? Cosa ricordi?
Quello che ho visto attorno a me è stato uno spettacolo dolorosissimo. Sono stata fortunata, rispetto a molti altri. Ricordo gli occhi terrorizzati degli altri malati. I caschi di ossigeno. Il suono della tosse. Il rumore dei passi di medici e infermieri. I loro occhi, l’unica parte visibile. La voce di chi mi incoraggiava a farcela. Ricordo ogni sensazione e, solo pensarci, oggi mi riempie gli occhi di lacrime e mi attraversa le vene.
I primi sintomi sono stati quelli di cui tutti hanno parlato: febbre alta, tosse, dolori muscolari. Sin dall'inizio ho capito di non avere una normale influenza, ma non immaginavo di certo come sarebbero andate le cose.
Nello scenario lombardo di quei giorni, in una regione nel pieno dei contagi, con un numero incredibile di ricoveri per casi gravi, il protocollo medico prevedeva di curarsi in casa con il paracetamolo, degli antibiotici e di chiamare il 118 in caso di problemi respiratori. Il 14 marzo mattina mentre, afona e con un filo di voce parlavo con mia sorella, ho iniziato a boccheggiare. Da quel momento parlare e fare qualsiasi tipo di movimento è diventato quasi impossibile. Dalla prima telefonata al 118, ho capito che ero in pericolo, perché non avrei ricevuto supporto medico fino a un ancor più grave peggioramento, forse definitivo.
Era diventato necessario organizzarsi per cercare di avere la situazione sotto controllo, per quanto possibile: era evidente avessi un problema respiratorio e abbiamo provato ad ordinare un saturimetro online.
Sarebbe arrivato dopo 20 giorni lavorativi, troppo tardi per capire se avessi abbastanza ossigeno per sopravvivere. Dei miei amici, che ci avevano già aiutato nel reperire i farmaci, cosa per la mia famiglia impossibile perché in quarantena domiciliare obbligatoria, sono riusciti a reperirne uno in una farmacia della zona e me lo hanno fatto avere entro poche ore. Sono stati degli angeli, per tutto l'aiuto che ci hanno dato.
Come hai vissuto quei giorni? Cosa ricordi?
Tutti i giorni a seguire, compreso il giorno del ricovero, alla terza chiamata, dopo circa 15 giorni, li ho passati a letto, in silenzio, sempre più debole, senza più antibiotici, con la polmonite che peggiorava e con il corpo che lentamente mi abbandonava, alzandomi solo per andare in bagno, controllata e accompagnata. Grazie all'uso del saturimetro monitoravo i valori altalenanti del mio ossigeno: spesso i valori si abbassavano notevolmente e sentivo che il mio corpo era a un passo dal cedere. Allora mi concentravo e controllavo la respirazione, dovevo farcela, dovevo recuperare.
Ogni sera quando mi addormentavo, mi parlavo e mi incoraggiavo a superare la notte. Volevo svegliarmi l'indomani, non volevo morire. Ricercavo dentro di me ogni risorsa utile. Avevo ancora molto da fare, volevo un'altra possibilità, volevo restare.
Avevo una borsa pronta da qualche giorno, sapevo che prima o poi non ci sarebbe stata alternativa. Ho avuto paura di andare in ospedale perché poi sarei rimasta davvero sola. Ricordo di aver desiderato di sentirmi stringere la mano, di commuovermi con una carezza sul viso, di incrociare uno sguardo di protezione. Ho dovuto superare la paura e mi sono ripromessa che sarei tornata a casa.
Ho passato una sola notte in ospedale a fine marzo, su una barella, in un corridoio, senza cuscino. Ma non importava, l'importante era aver finalmente essere stata visitata e avere una cura adeguata. Cosa avrei dovuto fare dopo, sarebbe stato più semplice del prima.
Quando sei tornata dall’ospedale, com’è andata?
Il post ricovero in isolamento è stato il periodo in cui mi sono sentita realmente cambiare. Ho osservato chiaramente i frantumi di questo uragano e all'inizio non mi sono riconosciuta. Mi sono chiesta dove fossi finita, ma poi ho avuto una reazione ben lontana dalla paura: perché ero esattamente dentro me stessa, perfettamente centrata, non ero più dentro a un corpo, ero sospesa nell'universo, nel mio punto zero, sul mio foglio bianco, in una rifinita sintonia con un pezzo di cielo, con un germoglio, con il sole attraverso la finestra. E non è stato così difficile capirlo. Ero io, esattamente e totalmente io. Nuova. Inedita. Autentica.
Sei una sopravvissuta, questo é certo. Ma qualcosa é cambiato come se una parte di te fosse morta davvero. Mi sbaglio?
Non ho mai raccontato quanto sono arrivata vicino alla morte, quanto ho combattuto, quanta paura ho avuto, quanto ho pregato me stessa di resistere. Non ho raccontato a nessuno che sono rimasta qui grazie alle persone che amo, ai miei porti sicuri. Persone che mi hanno donato amore ed energie incondizionatamente, che mi hanno curato, che mi hanno portato da mangiare nonostante il pericolo, o che mi hanno amato anche se il nostro rapporto si è ridotto a qualche telefonata pressoché silenziosa e che l'hanno fatto nonostante ancora oggi non capiscano dove io sia finita e se tornerò.
La verità è che la persona che ero non esiste più, tutti si aspettano di rivedermi ma non sanno ancora che conosceranno una persona nuova.
La verità è che la persona che ero non esiste più, tutti si aspettano di rivedermi ma non sanno ancora che conosceranno una persona nuova.
Per spiegarti come sono cambiata dopo il covid, è doveroso farti una premessa ed entrare nel dettaglio della cicatrice di una ferita che ha cambiato la mia espressione:
Sono sempre stata una persona strana agli occhi della maggior parte delle persone, silenziosa ed ermetica, mi sono quasi sempre resa invisibile: non ho mai avuto il coraggio di mostrare la mia vera essenza, tentavo di proteggermi, senza però accorgermi che chi stava cercando di farmi del male, nell'annullarmi, ero io stessa.
Ho sempre avuto la convinzione di aver creato il guscio perfetto, invece mi stavo castrando, stavo annebbiando i miei istinti, le mie sensazioni, il mio essere. Ho vissuto la maggior parte della mia vita attaccata alle responsabilità, ai doveri, con un forte grido interiore del mio essere creativo, sempre messo in secondo piano, tirato fuori nel tempo libero. Ma è quasi sempre successo che il tempo libero non corrispondesse alla potenza dei momenti di bisogno di fotografare. I miei momenti di espressione li ho quasi sempre vissuti con un coperchio, non capendo quanto questo potesse essere doloroso.
Inoltre, per 37 anni, prima di ammalarmi e comprendere a fondo la possibilità di lasciare questa vita, ho sempre dato molta importanza alle opinioni degli altri, imprigionandomi in un'esistenza parallela, ho cercato di esprimermi nascondendo nelle sfumature la mia vera essenza. Ho sempre avuto paura di scoprirmi, ho sempre pensato che sarei stata più fragile a mostrare davvero me stessa, mi faceva sentire nuda.
Solo fotograficamente mi sono sempre scoperta, ma solo perché sapevo di non arrivare realmente a tutti, sapevo di arrivare in modi differenti, non necessariamente alla mia verità, affiancandomi all'interpretazione di chi leggeva una mia foto. Questa è una cosa che qualche tempo fa, non avrei mai avuto il coraggio di dire.
Ed è esattamente questo quello che è cambiato: quando arrivi vicino alla morte, e te ne accorgi, capisci esattamente chi sei, da dove vieni e dove devi andare.
Durante la malattia ho smesso quasi subito di cercare una spiegazione al dolore, invece di chiedermi perché mi fosse successo, istintivamente mi sono accarezzata, intenerita di me stessa, innamorata del respiro, di ogni attimo di coscienza.
Sono arrivata esattamente al centro del mio mondo, al mio punto zero, mi ci sono ancorata come un compasso e ho ricreato attorno a me uno spazio nuovo, un cerchio pieno di intensità, totalmente puro.
È stato come nascere di nuovo, è come se ora avessi una patina davanti agli occhi, non vedo più le cose come le vedevo prima. E nelle mie orecchie entrano nuovi suoni.
Non ho memoria di nessuna cosa che ho visto, di alcun suono sentito. È tutto nuovo, è tutto la prima volta.
Cosa vedi nel tuo futuro? O per dirla meglio, nel tuo domani? Chi é, ora, Agnese?
Ora sto compiendo i primi passi. Per dirla tutta non mi sono ancora ripresa e li faccio a fatica. Ho fatto i tamponi di controllo a metà maggio, e sono risultati negativi. Ma quel momento che tutti pensano segni la fine della malattia, in realtà è solo il momento in cui non sei più contagioso e puoi uscire dall'isolamento. Non ho risposte riguardo al recupero e alla guarigione fisica, e ti dirò che è anche abbastanza frustrante vivere questa condizione, ma della malattia non voglio portarmi addosso lo strazio, la difficoltà e il dolore.
Voglio coltivare la forza, l'energia e la capacità di vivere anche se a livello motorio non sono più la stessa. Quando ho ripreso in mano la macchina fotografica, dopo tutto questo tempo, non l'ho riconosciuta. Mi sono presentata, l'ho toccata, impugnata e abbiamo ricominciato da zero.
Quello che sto facendo è dipingere dei dettagli invisibili all'occhio umano, scrivere dei viaggi onirici, dimostrare l'immensa bellezza della natura. Ogni scatto non solo è ricercato, ma è soprattutto in perfetta sintonia con il mio centro, è un'esplosione di farfalle nello stomaco, è intenso. È color pastello, immenso, in sintonia con la la terra e l'universo. È la luce con cui sto ritornando al reale, nella mia nuova forma.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Sì...Voglio ringraziare: la mia famiglia, il mio amore, i veri amici e tutti quelli che anche solo con un messaggio mi hanno fatto sentire che era importante anche per loro che io restassi qui.
Voglio ringraziare voi di wasabidress, per aver capito guardando le mie foto, quanto effettivamente questa esperienza mi abbia segnato. Per aver avuto l'intenzione di farlo vedere anche ad altri.
Fotografare resta la porta della mia essenza, se volete seguire il mio percorso, mi trovate a questo link: https://www.instagram.com/starlet_eyes_photography/
Vi consigliamo di cuore di dare uno sguardo alle sue foto sul suo canale Instagram; é impressionante il cambiamento dei suoi scatti prima e dopo il Coronavirus.
Intervista a cura di Federica Marta Puglisi
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